La Coop dei miracoli, che ha conquistato i giapponesi: 20mila litri di vino al giorno per Tokyo

La Coop dei miracoli, che ha conquistato i giapponesi: 20mila litri di vino al giorno per Tokyo

Un esempio perfetto di economia sociale, senza padroni, che ha fatto a meno delle protezioni e della politica e oggi ha un fatturato di 8 milioni di euro all’anno. Cantina Cliternia, dove si produce oltre il 50 per cento del vino di tutto il Molise, conta 160 soci, viticoltori della zona, che grazie a questo collaudato sistema riescono a vivere (bene) e si dividono gli utili. Il cliente principale? La catena giapponese di cucina italiana in stile “family-restaurant" Saizeriya, con oltre 1100 ristoranti, che da vent’anni sceglie il vino di Campomarino e che nel corso del tempo ha incrementato gli ordini. "Oggi - spiega il direttore Francesco De Angelis - vengono preparate 15mila bottiglie al giorno da 1,5 litri litri. Ogni settimana, per tutto l’anno, parte un container diretto in Giappone". Mantenere un cliente così importante è stata una scommessa, grazie grazie alla tenacia dei produttori e alla lungimiranza di investimenti ad altissima tecnologia che permettono di lavorare su numeri tanto grandi, una realtà praticamente sconosciuta a Molise. E la qualità del vino, curata dall’enologa Antonella Lozzi, è una garanzia.

Campomarino. Antonella Lozzi mostra una fotografia sul telefonino, fatta poche ore: «Direttore, guarda che colore!». Lui, Francesco De Angelis, originario del beneventano ma da 25 anni responsabile amministrativo della cantina, ammira le sfumature violacee mischiate a striature rubino e ha un sospiro di soddisfazione. Oltre a un legittimo, sacrosanto moto di orgoglio per il lavoro della giovane enologa. «Sono entrata come tecnico di laboratorio un bel po’ di anni fa – ricorda lei – e poi sono passata a un livello, diciamo così, superiore... Questo lavoro è bellissimo».

I complimenti per Antonella si sprecano, tra l’impianto di vinificazione e il sotterraneo delle botti pregiate, dove “invecchia” il Montepulciano riserva. «Molti enologi lavorano al telefono, credono di essere artisti delle miscele e dei tagli a orecchio. Lei invece sta sempre qua, ci passa le giornate, si occupa da vicino di tutto». E ancora: «La nostra Antonella? E’ bravissima».
Per lei, sistematicamente, anche le congratulazioni dei giapponesi. Arrivano almeno due volte all’anno qui a Nuova Cliternia, dove ha sede la cantina vinicola più grande del Molise. Con numeri incredibili: 160mila i quintali di uva che si lavorano, provenienti da 800 ettari di vigneti della zona. In pratica nella Cantina Cliternia si fa oltre il 50 per cento della produzione di vino di tutto il Molise.

Cosa c’entrano i giapponesi? Moltissimo. Il cliente principale di questa realtà, che per investimenti , tecnologia e volumi assomiglia a uno stabilimento della florida Emilia più che al Molise dimenticato, si chiama Saizeriya, ed è una catena giapponese di cucina italiana in stile “family-restaurant”. Conta oltre 1100 ristoranti in tutto il Giappone dove si consumano in media 20mila litri di vino al giorno. E il vino – indovinato – è tutto prodotto e imbottigliato a Cantina Cliternia, che rientra tra le venti cooperative più “lanciate” d’Italia, in una classifica che guarda il livello di crescita e il trend positivo. Il direttore De Angelis sceglie un profilo basso: «Se siamo bravi ce lo dicano gli altri, noi ci limitiamo a fare il possibile».

«Siamo una coop, mica una normale cantina: ecco perché viaggiamo così bene» scherza invece un viticoltore in attesa di arrivare col trattore traboccante di grappoli alla macchina della pesa, dove si misurano con uno dei sofisticati sistemi elettronici acquistati per rendere tutto più efficiente e rapido la temperatura, la tonalità, la maturazione, il genoma, ph e  il grado zuccherino.

«Quest’anno, che vino ragazzi!» commenta un collega, mentre il valore del grado zuccherino s’impenna. «Erano secoli che non c’era un’uva così spettacolare». Merito anche del caldo record, della siccità che ha riscattato la sua ferocia regalando alla frutta una qualità senza precedenti. E merito della cura con la quale i 160 soci coltivano le vigne di quasi mille ettari tra Campomarino, Nuova Cliternia, San Martino in Pensilis, Portocannone e in piccola parte Ururi.
 
In questo periodo di vendemmia c’è un via-vai ininterrotto di trattori e rimorchi in movimento nel vasto piazzale dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio. I coltivatori arrivano, si dispongono in fila armati di pazienza e allegria, scambiano battute tra loro, verificano il “prodotto”, si danno una mano a fare manovra e a scaricare. «Guarda, abbiamo anche le donne» dice un ragazzo che sta aspettando il suo turno, mentre alla pesa si avvicina un trattore guidato da una ragazza. «Mio marito non poteva venire – spiega ridendo, rassegnandosi alla foto di rito – e allora eccomi qua. Non si poteva aspettare, non c’è tempo da perdere col raccolto». Si conoscono tutti, l’atmosfera è quella di una famiglia allargata che nel corso degli anni ha consolidato relazioni e affari. Perché Cantina Cliternia ha una caratteristica che manca alle altre: non ha un padrone.

Nata nel 1972, impegna in pianta stabile 11 dipendenti ed è da sempre costituita da soci, che mettono in comune i raccolti di uva bianca e uva rossa per produrre la bellezza di 115mila ettolitri di vino all’anno, la metà dell’intera regione. Eppure proprio in Molise il vino etichettato in questo stabilimento - che si estende su un’area di oltre 32mila metri quadri, di cui 10mila coperti - è poco conosciuto perché poco commercializzato. Questione di scelte e di mercato. E il mercato privilegiato è quello giapponese, che da venti anni si rivolge a Cantina Cliternia per soddisfare la domanda.


Saizeriya è la più grande catena di ristoranti italiani al mondo, «che offre una qualità medio-alta del cibo a un prezzo relativamente basso per il Giappone» spiega Francesco De Angelis, che trascorre le giornate tra gli uffici, dove il telefono squilla in continuazione, e la verifica costante degli impianti, dalla linea di imbottigliamento che “sforna” in ambiente sterile e controllato sia dal personale che da una tecnologia all’avanguardia ben 2.500 pezzi all’ora fino ai silos, alle botti della riserva, al settore frigorifero e a quello dei vasi vinari termocondizionati con una capacità di 8mila ettolitri.
Certe cose hanno bisogno di fortuna e applicazione, e qui a Nuova Cliternia nessuna delle due è mancata. «Grazie a un rappresentante locale, venti anni fa abbiamo iniziato a produrre per Saizeriya, che all’epoca aveva una cinquantina di ristoranti – continua il direttore – Nel tempo è cresciuta la domanda, la catena si è ingrandita a dismisura arrivando oggi a 1100 ristoranti che servono una clientela di 186 milioni di clienti all’anno. Fatevi i conti…»
Da qualche tempo, inoltre, non solo in Giappone perché la società si sta allargando verso la Cina, da Pechino a Shanghai. La conseguenza è che ogni giorno la linea produttiva della cantina sociale riempie ed etichetta 15mila bottiglie da un litro e mezzo per Sayzeriya. Ogni settimana il carico viene spedito in un container dai porti di Genova e Napoli, e dopo un mese approda a Tokyo. Non sembra di stare in Molise, proprio no. «E invece siamo veramente noi…» sorride De Angelis, mostrando il ricco menù di piatti italiani, dalla pizza alla carbonara, illustrati in ideogrammi e accompagnati da eloquenti immagini di bottiglie e calici di vino (venduti al ristorante a circa 1 euro l’uno) prezzati in yen, con l’etichetta scritta in giapponese sulla quale spicca il logo di Cantina Cliternia.
«Non ci hanno mai traditi, in tutto questo tempo. Vengono a trovarci due volte l’anno, per seguire di persona la produzione e assaggiare il vino» conferma Claudio Pantalone, uno dei soci, mostrando qualche immagine di giapponesi tra la vinificazione e l’imbottigliamento, armati – e sarebbe strano il contrario – di telecamere e smartphone per riprendere ogni singolo passaggio della catena. Questione di applicazione e disciplina, appunto. E di investimenti mirati. Negli ultimi dieci anni, grazie a un fatturato in crescita che nel 2016 si è assestato sugli 8 milioni di euro, sono stati acquistati progressivamente macchinari modernissimi che riescono a soddisfare la domanda.
«Più di questo, per ora, non si può fare – ammette ancora il direttore – perché la capacità produttiva per l’imbottigliamento è al completo, a volte bisogna fare anche i turni per smaltire la richiesta».
Giappone e non solo. Dei 115mila ettolitri di vino prodotti ne viene imbottigliato un terzo: il resto viene venduto sfuso a diverse aziende del nord Italia, dal Veneto al Friuli alla Lombardia. «Rosso, ma anche bianco, che assorbe attualmente il 40 per cento della richiesta e vale sempre di più perché il prosecco ormai tira moltissimo».
Oltre dieci le etichette prodotte, fra le quali spicca il Trabucco, anche in versione riserva dopo un periodo di permanenza in botte di legno di almeno 3 anni. Trabucco rosso e bianco, Osco Igt, rosso, bianco e rosato, Molise rosso e bianco, Biferno. E falanghina, pinot bianco e grigio. E perfino la grappa, fatta con le vinacce perché – avverte l’enologa Antonella Lozzi – dell’uva non si butta via niente.
I viticoltori attraversano la pesa diretti sul retro, per scaricare le uve che finiscono nei vasconi del mosto. «Che mosto, quest’anno».
Gli occhi scintillano di soddisfazione: la “famiglia” senza un padrone di Cantina Cliternia, pur avendo scelto di privilegiare la logica dei grandi numeri in un contesto fatto esclusivamente di piccoli produttori, non rinuncia alla soddisfazione della qualità, nella consapevolezza che se ognuno lavora al meglio il suo vigneto, «con tutte le problematiche legate al fatto dei terreni e alla difficoltà a ottenere da così tanti produttori una uva il più possibile uniformata per caratteristiche e resa», il benefico finale sarà per tutti. 
Funziona così, nella Coop dell’uva dove i soci mettono in comune il loro tesoro e si dividono il tesoretto, attenti a restare fuori dalle ingerenze della politica che «finisce per rovinare tutto», attenti a non perdere di vista l’obiettivo, «se no facciamo la fine della Cantina Valbiferno (quella di Guglionesi, fallita e svenduta all’asta di recente, ndr)», e attenti a investire, a lasciare fuori dai ricavi una parte necessaria ad acquistare macchinari e dotarsi di tecnologie al passo con i volumi produttivi. Un pezzo alla volta, sudore e sangue freddo, mai perdere la testa, mai fare il passo più lungo della gamba. Le scommesse, in fondo, si vincono così. E vale anche per il Molise.




Articolo pubblicato dain data 02/10/2017 
di Monica Vignale Leggi articolo originale

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